Valigetta ventiquattrore, cravatta o tailleur firmato Chanel e penna Montblanc fumante di fogli firmati per affari. Se qualcuno dovesse dare una definizione stereotipata al “businessman/businesswoman” tipo, la nostra memoria volerebbe subito su Richard Gere in Pretty Woman o sull’ostinata Fallon Carrington di Dynasty. E in qualche strano modo, tralasciando lo charme di attori che recitano la parte di potenti CEO, quel fascino sprigionato dal viaggio di lavoro riesce ancora a farsi strada nel nostro immaginario.
Dall’invenzione dei telefoni cellulari poi, chi non si è nemmeno una volta proiettato nell’ufficio di Miranda Priestly, dove tutto il lavoro di un anno deve convergere in una perfetta trasferta a Parigi?
Beh, magari nella realtà le cose non sono proprio come nei film e benché ci piaccia sognare, questo lo sappiamo fin troppo bene. Ad ogni modo, c’è qualcosa che comunque le pellicole riescono ad inquadrare bene: gli strumenti di un epoca ed il loro utilizzo. Sorridiamo oggi nel vedere i palmare e i Blackberry dei primi 2000, figuriamoci i leggendari cellulari anni ’90 grandi (e pesanti!) quanto un mattone. Eppure i nostri smartphone odierni, super-slim, super-tech e super-qualsiasi cosa adempiono esattamente alla stessa funzione di quelli che ormai sono pezzi da museo: cercare di rimanere in contatto con gli altri anche se ci troviamo fisicamente in uno spazio diverso.
Ogni esigenza nasce prima come sociale e adattata in un secondo momento al lavoro, alla scuola e alle attività più disparate. Pensate al boom pazzesco che le piattaforme per fare video call hanno avuto durante la pandemia di Covid 19: l’esigenza di trovarsi in un contesto sociale era messa in pericolo da un’emergenza sanitaria, ma la soluzione tecnologica è arrivata in soccorso immediatamente, riportando poi lo stesso iter per le call di lavoro, le lezioni di scuola e i corsi di yoga.
Non deve stupirci il nesso fra viaggi di lavoro e la voglia di rimanere in contatto con qualcuno, o della semplice possibilità di volerlo fare. Qualsiasi viaggiatore si trova oggi in una sfera ultra-connessa: da un cellulare posso accedere alle mail di lavoro, posso scrivere ad un collega sulla chat, posso scattare una foto e postarla sulla pagina aziendale e se non dovesse bastare, che problema c’è? Tolgo il laptop dalla borsa e preparo intanto delle slides da passare al reparto vendite la prossima settimana. E come ci esce il fumo dal naso se disgraziatamente la connessione non va e il wi-fi del treno fa le bizze.
Molti si chiedono se questo stile di vita sarà la rovina sociale dei lavoratori, forse prima di questo però, dovremmo capire se c’è, e in caso quale è, la tecnologia a cui rinunceremmo per il bene della filosofia. Chissà quanti di noi alla fine tornerebbero ad acquistare il biglietto aereo direttamente in aeroporto senza avere almeno un’idea del costo da una comodissima app scaricata gratuitamente sul telefono. Oppure di tornare in fila alle poste o in banca, spesso per ore, senza poter fare niente nel frattempo, nemmeno il Wordle del giorno sul Times.
Il progresso tecnologico è nostro nemico nella misura in cui vogliamo che lo sia. Sarebbe assurdo pensare alla nostra quotidianità senza la possibilità di accendere la luce o il fornello del gas quando più ci va, eppure i nostri nonni non potevano vantare gli stessi comfort; così allo stesso modo chi ci vedrà da qualche decennio più avanti darà sempre più per assodato la disponibilità tecnologica e le comodità che ne derivano e chi viaggerà per lavoro, con la sua porta usb sulla valigia e gli Airpords nelle orecchie, con il biglietto qr code e il passaporto elettronico, farà lo stesso identico effetto di Edward Lewis nel 1990.